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Gender Gap all’era del Covid-19: in quale direzione sta andando l’Italia?

Ormai entrati di fatto nella Fase 2, sembra essersi delineata la consapevolezza che l’Emergenza da Coronavirus avrà conseguenze di grande portata, imponendosi come vero e proprio spartiacque nelle nostre vite professionali e personali. Con il Dott. Enrico Gambardella abbiamo parlato di Gender Gap e cercato di vederci un po’ più chiaro sulla strada che stiamo percorrendo…

Sentiamo parlare continuamente di ripartenza, rinascita e cambiamento. Ma perché questo accada davvero, è assolutamente prioritario che le donne – protagoniste assolute nella fase di quarantena – entrino nei luoghi delle decisioni e che questi siano supportati da un pensiero di parità, inclusione e giustizia sociale collettiva.
Il Dott. Enrico Gambardella, HR Director e Presidente del Winning Women Institute, ha analizzato con noi i risultati ottenuti dall’Italia nell’ultimo Global Gender Gap Report 2020 del World Economic Forum.

Gender Gap

Dott. Gambardella, gli ultimi giorni di dicembre 2019 hanno decretato che la strada per la parità tra uomini e donne è ancora lunga: se nel 2018 avevamo festeggiato la risalita dall’82° posto del 2017 al 70° posto, nello scorso anno siamo scivolati al 76° posto su 153 Paesi, solo un gradino più su rispetto al 2006. Quali sono, a suo avviso, le principali cause di questa ricaduta?

L’impressione che si ha analizzando i dati porta a due considerazioni. La prima è la pressochè assenza di un piano strutturato, organico e costantemente monitorato riguardo alle tematiche della gender equality in Italia. Esistono certamente iniziative di legge, convegni, dibattiti ed altro ancora ma non esiste un vero coordinamento nazionale che ‘misuri’ puntualmente se gli sforzi che si stanno facendo vanno nella direzione giusta. Il risultato in classifica è pertanto di tipo casuale e lo si scopre, diciamo cosi, a cose fatte.
Un’idea potrebbe essere quella di avere una pubblicazione o monitoraggio mensile e darsi degli obiettivi concreti ad esempio sul “posto in classifica” che si vorrebbe raggiungere.

In secondo luogo c’è da dire che anche gli altri paesi si ‘muovono’, non rimangono fermi, hanno politiche in atto di miglioramento continuo. Per cui ‘crescere’ in classifica non significa solo migliorare verso sé stessi ma migliorare anche verso gli altri. Esiste un ‘doppio binario di competizione’ (interno ed esterno) ed alle volte ‘migliorare’ può non bastare rispetto ai progressi degli altri paesi.

Gender Gap

Parlando di differenza salariale, la legge Golfo-Mosca – che impone alle società quotate che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi – che tipo di impatto ha avuto sul Gender Gap?

L’intenzione iniziale era assolutamente positiva. Il dover applicare le cosidette ‘quote rosa’ nei CdA ha fatto credere (o forse sperare) che una maggiore presenza femminile nei Board avrebbe portato importanti contributi per eliminare le due principali aree di disparità in azienda e cioè la presenza di donne ai vertici ed il gender pay gap.
Secondo uno studio di Cerved la Legge Golfo-Mosca non ha però intaccato la composizione della quota di donne nelle società non quotate e neanche prodotto effetti a cascata sulla presenza femminile in azienda.
Un’idea potrebbe essere quella di coinvolgere i Board a lavorare a stretto contato con il Management individuando dei target di gender balance da raggiungere nei prossimi anni.
C’è anche da dire che la stessa legge Golfo-Mosca è stata diffusamente disattesa in molti CdA sia di aziende quotate, sia di aziende non quotate e di municipalizzate, non esistendo un sistema di sanzioni adeguato.


Gender Gap

Per fortuna ci sono anche buone notizie: sul fronte dell’educazione l’Italia sembra essere ben posizionata, con un ranking 55 su 149 Paesi. Non male anche la politica, seppure siamo scesi dal 38° al 44° posto. A guidare la classifica del World Economic Forum è l’Islanda, seguita da Norvegia, Finlandia e Svezia… E’ chiaro che Il Nord Europa viaggia su altre orbite. Perché, a suo avviso?

Lo scorso anno come Winning Women Institute abbiamo invitato a giugno in Italia Thorsteinn Víglundsson, Membro del Parlamento e già Ministro degli Affari Sociali e dell’Equità dell’Islanda,
Nel suo intervento al Festival del Lavoro ed
all’Università Bocconi ha ben spiegato in maniera chiara e semplice quali sono stati i passi fatti dall’Islanda per il raggiungimento di questo importante risultato.

Ne ho riassunti quattro:

  • Uno sciopero generale agli inizi degli anni ’70 dell’intero paese che ha dato un chiaro segnale di richiesta di cambiamento.

  • L’emanazione di una legge che ha obbligato tutte le aziende ad una Certificazione sulla Gender Equality.

  • Un piano Welfare a sostegno delle famiglie.

  • Il coinvolgimento non solo delle aziende ma anche dei sindacati come promotori della Gender Equality.

Iniziative semplici ed efficaci che potrebbero trovare riscontro immediato anche da noi.
Proprio rifacendoci al modello Islandese Winning Women Institute propone anche in Italia la Certificazione delle Aziende sul tema delle pari opportunità.
Vorrei anche dire che l’Islanda, contrariamente al nostro immaginario collettivo, partiva da una situazione molto critica, quasi peggio di quella italiana. Ciò vuol dire che si può fare.

 

Gender Gap
Ci colpisce positivamente il caso della Spagna all’8° posto, paese di certo non lontano da noi per cultura e condizioni generali del paese. Come si spiega un divario così forte?

Non conosco il caso specifico della Spagna, ma credo che il fenomeno possa essere riportato ad una presenza molto significativa di giovani e alla loro forte attenzione nei confronti di queste tematiche.

Per le nuove generazioni le questioni etiche sono ai primissimi posti delle loro scelte e riescono a ben influenzare il tessuto sociale.

Con lo Smart Working e la singolare situazione che stiamo vivendo il quadro femminile si complica, cosa può dirci a riguardo e cosa possiamo e dobbiamo fare? Donne, lavoratrici, ma anche e soprattutto aziende e politica?

Con l’attuale situazione del Covid 19, che avrà molto probabilmente riflessi nei prossimi 12/18 mesi, c’è il forte rischio di peggiorare una già poco onorevole classifica.

L’uso diffuso dello Smart Working sta per fortuna aiutando nella possibilità di integrare (per quanto fattibile) un work life balance ancora più difficile da realizzare dopo il diffondersi della pandemia. Tra l’altro mi piace sottolineare come una iniziativa nata prevalentemente a beneficio delle donne (soprattutto mamme) si sia man mano estesa a tutti i lavoratori e grazie a questo oggi milioni di persone hanno potuto continuare a lavorare da casa. Un esempio più che concreto che lavorare su tematiche di ‘diversity & inclusion’ vanno a beneficio di tutti.

Ciò detto occorre prestare molta attenzione ai livelli occupazionali dei prossimi mesi che in un contesto di crisi potrebbe portare a far uscire dal mondo del lavoro migliaia di donne.

E’ chiaro che le retribuzioni più basse (con gap retributivi che arrivano anche al 30% a pari ruolo), una organizzazione delle famiglie piuttosto tradizionale (che affida le famiglie prevalentemente sulle spalle delle donne) ed un welfare non ancora adeguato rischia di portare le donne a dover fare la difficile scelta tra lavoro e famiglia.

In una situazione di ‘crisi’ come questa bisognerebbe avere il coraggio di istituire delle ‘quote rose di dimissioni’ monitorando e garantendo che la percentuale di donne che dovessero lasciare il lavoro – all’interno delle aziende – sia assolutamente uguale a quella degli uomini, obbligando le aziende ad almeno rispettare l’attuale composizione percentuale di uomini e donne in azienda.

In più le aziende dovrebbero attuare delle vere e proprie politiche di ‘retention’ verso il lavoro femminile e con iniziative come part time, orari flessibili ed in ultima istanza a riconoscere periodi sabbatici fino a dodici/diciotto mesi. E’ chiaro infatti che per chi uscirà dal mondo del lavoro nei prossimi mesi sarà molto difficile il rientro. Ma le statistiche ci dicono che i tempi di ‘reinserimento’ delle donne sono molto più lunghi che per gli uomini. Una gestione di ‘sabbatico’ permetterebbe alle donne di rientrare con maggiore velocità e facilità e di sapere di avere un posto di lavoro che le aspetta.

Questo non solo a salvaguardia della condizione femminile che rischia di tornare a livelli ancora più inaccettabili di quelli di oggi ma anche per garantire un maggior probabilità di futuro successo delle aziende. E’ infatti dimostrato che team che rispettano il gender balance producono risultati molto più elevati di team con poca differenziazione al loro interno. Chi è quindi interessato ad una ripresa economica più veloce non dovrebbe fare a meno di una forza lavoro cosi strategica ed importante.

Che ruolo e responsabilità hanno gli, ma soprattutto le assistenti in tema di Gender Gap? Un assistente può essere veicolo di cambiamento?

Il cambiamento è diventato una responsabilità diffusa in azienda. Chiunque può (e deve) essere protagonista del cambiamento, direi soprattutto del ‘miglioramento’.
Gli/le assistenti hanno un osservatorio assolutamente privilegiato nel conoscere e sapere informazioni aziendali importanti e nel cogliere le richieste di cambiamento (generalmente culturali) che arrivano dalle persone all’interno delle aziende.
Di solito hanno anche un ‘potere di influenza’ molto elevato che tendono a non sfruttare pienamente.
E’ un ruolo con una potenzialità inespressa che può facilmente diventare un vero motore del cambiamento molto contagioso all’interno dell’azienda.

Quali sono gli obiettivi e le iniziative del WWI in programma per quest’anno? Come possiamo partecipare attivamente?

Winning Women Institute continua con il suo intento e con il suo obiettivo di certificare le aziende sulle pari opportunità. Una azione concreta per diffondere i principi della Gender Equality in azienda.
Attraverso il nostro percorso aiutiamo le aziende a misurarsi, ad autovalutarsi e a confrontarsi con le migliori aziende che hanno già raggiunto la certificazione.
La Certificazione o ‘bollino rosa’ diventano il riconoscimento di ottime pratiche aziendali e di un ambiente di lavoro che valorizza tutte le differenze al proprio interno, accrescendo la Reputation aziendale.
Ci piacerebbe presentarvi il nostro modello e poter presentare la Certificazione all’interno delle vostre aziende dandovi un ruolo centrale come autori e autrici del cambiamento all’insegna del ‘Si può (e si deve) fare’.

E voi cosa ne pensate? Il periodo di lockdown ha messo in luce alcune di queste tematiche? Come state affrontando la ripartenza? Parliamone nei commenti!